La mancanza di radici della cultura contemporanea, soprattutto industriale e cittadina, è la diretta responsabile della nostra melanconia e depressione. La mancanza di una conoscenza totale o il fallimento delle grandi teorie unificatrici ci hanno posto nell’angoscia di una conoscenza parziale, non più di tipo oggettivo, come avviene nelle epoche storiche di espansione, bensì soggettive, ripiegate quindi sull’io, come direbbe W. Reich.
La psicanalisi ha fallito il suo compito salvifico di scienza nuova e oggi naviga all’interno del corpo e delle sue seduzioni percettive. Che fare allora se non ripiegare sui movimenti, anzi meglio sui tic del proprio corpo? Poi, partendo da questi, tentare di darsi una storia, magari meno nobile di quella ufficiale, ma più realistica, più vicina, più controllabile e in questa operazione di rovesciamento dal generale al particolare dove tutto è rimpicciolito, come non sorridere del mondo? Se dobbiamo interpretare una parte nel teatro del mondo l’importante è che lo si faccia con convinzione! Perchè allora scomodare E. Kris, Freud o Ròheim, così come Schopenhauer, Virilio o Baudrillad, o, quant’altri si voglia per giustificare una parte che il destino ti ha assegnato e non cercare invece le figure in cui foucaultianamente siamo divisi? E quindi arrivare a quello stato di grazia da non sentire il peso della responsabilità tramandateci da Nietzsche con la sua distruzione di Dio; si desidera essere deresponsabilizzati, indifferenti visto che come dice Kundera “non c’è più nessuna missione da compiere”. Ecco che dopo Dio la patria mi dà una bandiera sotto cui uccidere, o porre in schiavitù altre genti, mentre io non lo desidero, e dove sta la mia salvezza se non nel mio limite: nel mio corpo, nel suo tic nervoso della risata, nello sberleffo esibito quale digressione fisica che mi riconduca alla mia sessualità esibita, giocata, sputata e cinicamente disincantata per cui sberleffi e corna e gesti non denunciano la mia volgarità: questa è l’unica mia appartenenza concreta ad una identità comune e volgare del popolo, non quella astratta del filosofo che è parodia dell’umano, bensì quella tragica della quotidianità, dell’uomo comune e della sua maschera, del Pulcinella o altro. Ed ecco che con una capriola si è girato su se stesso ritrovando le radici interiori del proprio sarcasmo; delle proprie sconfitte viste con la saggezza dei vari Bertoldo, Bertoldino e Caccasenno italici. Ecco allora chiaro il bisogno di ex voto, tanti sono i potenti da scansare, da rabbonire, come da ammansire;così mi si spiega la necessità della smorfia o della risata per nascondere il mio vero sentire agli altri; ed eccomi così spiegato il lavoro sottile ed ironico, ma pieno d’intelligenza di Domenico “ Mimmo” Castaldi. Boris Brollo Flash Art – Giugno 1994
Esiste un filone dell’arte del dopoguerra che mira a riversare nell’opera le pulsioni della sfera emotiva e riprende e ingigantisce la miriade di oggetti inutili e colorati della civiltà dei consumi. In questa linea si inquadra l’attività di Mimmo Castaldi, che espone alla galleria Grigoletti di Pordenone.
Castaldi lavora su temi degli ex voto, le figurine in argento rappresentanti la parte risanata per miracolo, il viso smunto dei santi bizantini, la Madonna ecc, racchiusi in preziosi cornici dorate, che sembrano trasformarsi in quinte teatrali. Poi, a ben guardare la Madonna protegge il gattino del Kit e Kat, anche lui con l’aureola; l’asceta indossa una cravatte e la toga, per esempio in “Processione”; si scopre poi un “polittico” in cui gli altri “santi” sono un carabiniere con pennacchio – il carabiniere di Pinocchio – e un truce Superman. E qua e là spuntano figurine che fanno le boccacce, con fratelli incappucciati, “cuori di Maria” pulsanti di luce come nei santini e il “Dio c’è” scritto con i caratteri della Coca cola. È questo il paradiso di Pulcinella, ma la dissacrazione qui messa in atto è quella della nostra società in cui, perduto ogni riferimento religioso e morale, non resta che votarsi al santo del giorno, al politico di turno, all’eroe dei film e dei fumetti. Chiara Tavella Messaggero Veneto martedì 14 Novembre 1995
Mille simbologie
Piccole bacheche, vivaci teatrini preziosamente incorniciati, a contenere un’immagine della Vergine con il bambino, una tartaruga sorridente, maschere caricaturiali, silhouettes di volti, cuori, stelle e fiori naif, un cagnolino recuperato dal mondo dei cartoons. I lavori di Domenico Castaldi, raccolti nella mostra “ Provare per credere” alla galleria Crossing di Portogruaro, si presentano come immagini dal sapore volutamente popolare, dove i minuti oggetti non sono recuperati, ma ricreati e dipinti con colori saturi e vivaci, quasi a testimoniare una sorta di urlo quale identificazione di una presenza, attraverso la summa di frammenti di mondo.
Ogni dettaglio si fa carico di specifiche simbologie che corrono lungo il sottile confine tra sacro e profano, laddove il primo appare come mera citazione culturale ormai svuotata dalla valenza del culto: il latino còlere dal quale derivano entrambi i vocaboli (cultura e culto) sopravvive nell’accezione del “ coltivare”, ma perde quella più ampia del “ venerare”. Castaldi recupera il concetto degli ex voto come categoria del magico dove l’idea di una realtà divenuta ormai benigna convive con le minacce catastrofiche che incombevano sul graziato, come scrive Michelangelo Dal Pos in catalogo. Ma poi annulla il rapporto rituale con la divinità, proclama la fine delle ideologie, il crollo di un riferimento trascendente quale indice di salvezza. L’uomo si trova quindi solo con se stesso e con i frammenti di storia, le tracce di mondo, del resto non sempre oggettivi perchè relativi al proprio modo di vedere. Le energie si concentrano così sull’emergenza di un Io che deve essere cercato e individuato, in qualche modo circoscritto (ecco il valore di cornici e bacheche come contenitori di un’identità) e protetto con un processo di difesa dalla morte e dalla negatività, compito che spetta all’ironia e all’autoderisione. Quale ex voto prefigurano le maschere caricaturiali, dai volti grossolani e rosei, dal sorriso straniante che cela la sofferenza, l’invidia, il sadismo sotto un’apparente felicità? Assistiamo a una vera e propria dissacrazione: non vi è alcun presupposto di devozione e rapporto con la divinità; le uniche relazioni a entrare in campo sono quelle tra esseri umani, gestite secondo un principio di realtà che chiama in causa tutta la concretezza del quotidiano, annullando ogni altro riferimento capace di condurci al di sopra delle cose nella speranza di un altrove.Ma se la minaccia è sempre in atto, Castaldi ne sdrammatizza la portata attraverso uno sguardo a distanza, capace di vedere la realtà con occhi innocenti attraverso un filtro che diviene fiaba, racconto giocoso, dove i personaggi divengono protagonisti di un teatrino ironico, certo incarnando il ruolo del buono e del cattivo, ma eludendo ogni tono drammatico. Sabrina Zannier Messaggero Veneto – inserto, 6 novembre 1994
I “nuovi santi”
….un ritratto ironico ma indulgente della società contemporanea.
Si possono individuare, nell’arte contemporanea, due opposte tendenze o atteggiamenti – da intendersi, ovviamente, non come categorie chiuse e incomunicanti ma come possibili linee interpretative di una realtà complessa, quella artistica, che sfugge comunque a ogni schematizzazione. Potremmo definirle la tendenza alla “immersione nel mondo” e la tendenza alla “ricostruzione del mondo secondo leggi universali”. Intendendo il termine “mondo” in un’accezione filosofica, direi esistenziale, come l’insieme cioè dei fenomeni, di tutto ciò che coinvolge i nostri sensi e parcellizza il tempo in una serie di istanti eterogenei, fatti di “particolari”, di “accidenti”.
In poche parole, “mondo” è l’insieme dei fatti che accadono, dai minuti avvenimenti quotidiani a quelli più importanti, non ancora sistemati, però, in una logica consequenzialità retta da proprie leggi, non ancora divenuti, cioè, una “storia”. Nell’arte del secondo dopoguerra il primo dei due atteggiamenti si concretizza inizialmente nel movimento dell’Informale, nell’ambito del quale almeno le ricerche di tipo gestuale, come l’action painting, si basano su un tentativo di trascrizione immediata, nell’opera, delle pulsioni, degli istinti, degli stati interiori, di quel sottoinsieme di “mondo” che è costituito dalla sfera emotiva e inconscia della psiche. L’atteggiamento di “presa diretta” del mondo muta completamente obbiettivi negli anni ‘50 e ‘60 e da intro-verso si fa estro-verso: un nuovo mondo appare per la prima volta in arte, il mondo della civiltà dei consumi, della pubblicità e dei mass-media, fatto di una miriade di oggetti inutili e colorati, gli oggetti ripresi, ingigantiti, declamati e venerati dalla pop art. Da questa discendono poi, per vie più o meno dirette, molte delle ricerche successive, fino a quelle più recenti, legate al fumetto e all’immaginario urbano. L’atteggiamento di “ricostruzione del mondo secondo leggi universali”, o meglio il tentativo, spesso problematico e disperato, di individuare una qualsivoglia “legge”, si esprime invece nell’astrattismo geometrico e in tutte quelle ricerche, tese all’analisi del linguaggio visivo e alle sue logiche interne, che ad esso si possono ricondurre (dal Movimento per l’Arte Concreta dell’immediato dopoguerra, alle correnti optical e cinetiche degli anni ‘60, a certe attuali sperimentazioni sui nuovi linguaggi multimediali). Tutto questo per inquadrare una mostra che si svolge in questi giorni al Centro d’Arte Grigoletti di Pordenone, dove sono esposti gli “Ex-voto” di Domenico Castaldi, artista di origine napoletana ma residente a Portogruaro che, con la sua “vis” ironica e scanzonata di levantino, rientra decisamente nel primo dei due atteggiamenti indicati, e contrasta così singolarmente con buona parte dell’arte friulana, caratterizzata da un’intonazione più distaccata e meditativa, spesso risalente all’astrattismo classico – e penso ad alcune mostre recenti, svoltesi a Pordenone, come quelle di Colò e Pope, o tra i giovani, a un artista come Poldelmengo. Castaldi lavora sui temi e sulle strutture narrative degli ex-voto; compaiono così nelle sue opere le figurine in argento rappresentanti la parte del corpo risanata dalla divinità protettrice, il viso smunto dei santi bizantini, la Madonna, l’acquasantiera, l’angelo, racchiusi in preziose cornici dorata che sembrano trasformarsi in quinte teatrali; tutto un immaginario popolare, insomma, che deriva dalla religiosità meridionale, intrisa di un senso quasi pagano della spettacolarità, del rito magico, della superstizione. Ma poi, a ben guardare, la Madonna protegge il gattino del Kit e Kat, anche lui con l’aureola; il santo asceta indossa una cravatta e una toga, per esempio in “Processione”, un “polittico” in cui gli altri “santi” sono un carabiniere col pennacchio – il carabiniere di Pinocchio! – e un truce Superman; e ancora l’angelo ha un corpo nudo di donna e fa pipì (l’ “H2O benedetta” del titolo) dentro un calice. E qua e là spuntano figurine che fanno la boccaccia, gesto scaramantico, confratelli incappucciati, “cuori di Maria” pulsanti di luce come nei santini e il “Dio c’è” scritto con i caratteri di “Coca-cola”. E’ dunque, questo, un paradiso di Pulcinella, dissacrato e mondano, che ha l’apparenza di un fumetto: i colori sono vivacissimi e uniformi, le scritte richiamano i caratteri di note pubblicità. Mentre in tele come “Angelo” e “Anima” è tutto un brulicare caotico di immagini, ghirigori, arabeschi, farfalle, fuori e dentro i confini della figura, in un’esuberanza vitalistica e barocca di forme. La dissacrazione qui messa in atto è quella della nostra società in cui, perduto ogni riferimento religioso e morale, non resta che “votarsi” al santo del giorno, al politico di turno o all’eroe dei film e dei fumetti, alla rassicurante mamma-Madonna degli spot o anche a una certa cultura, come sembra suggerire una citazione dall’ “Urlo” di Munch in “Processione”. Il “mondo” accolto nell’arte di Castaldi, dunque, è il mondo attuale, contesto delle immagini dell’era della comunicazione “di massa”, “planetaria”, “multimediale”, e la società italiana in particolare, con le sue varie tangentopoli, dove l’unica legge valida, è la legge dell’ “arrangiarsi”, dell’adulazione, della raccomandazione, del tic divertita e bonaria, col gusto tutto latino e italico – pensiamo a Plauto o a Boccaccio – della furberia e della fantasia umane, la nostra misera umanità, il suo continuo arrabattarsi non più per il piatto di minestra, come in passato, ma per riempire con i nuovi santi e i nuovi miti del benessere il vuoto disperante lasciato da santi antichi. Chiara Tavella Novembre 1995
PER GRAZIA RICEVUTA
I neo ex-voto di Mimmo Castaldi per un nuovo linguaggio di Alessio Alessandrini
Non ci facciamo caso,e facciamo male. Intere pareti di molti santuari mariani (soprattutto) dei quali snobisticamente apprezziamo solo le linee architettoniche e qualche pala d’altare ,sono piene di quadretti di piccole dimensioni detti “ex-voto”. Il termine è forma ellittica da “ ex-voto suscepto”, cioè ”secondo il voto fatto. L’usanza ha origini decisamente pagane: sono doni fatti alla divinità in cambio di uno scampato pericolo o di una grazia ricevuta. Solo nel Medio Evo divennero patrimonio ma anche del mondo cristiano.
Molti sono d ‘argento o di materiale meno nobile, che costituiscono proprio l’essenza del dono,ma quelli che ci interessano perche autentica espressione di arte popolare sono i quadretti narrativi, dipinti da modesti pittori di paese a nome e per conto del miracolato o, raramente, dal miracolato medesimo. Sono interessanti perché presentano una griglia tematica e anche in parte stilistica fissa, dettata dalla riverenza al luogo dove deve essere esposto il quadretto, dalle circostanze drammatiche narrate dalla ripartizione spazio-temporale tra la richiesta della grazia ed il suo miracoloso ottenimento, dal contenuto ma sempre presente gusto barocco del meraviglioso e del meravigliante, la soddisfazione del vantaggio ottenuto dal protagonista ma anche la sorpresa. E lo stupore che le leggi della natura, o anche semplicemente della statistica e del calcolo delle probabilità, si siano piegate per volontà di Dio o del Santo intercessore a favore del miracolato. E’ dunque un complesso di circostanze culturali e linguistiche che offre anche agli artisti d’oggi,così in crisi per il tramontare di tutti gli “ismi” contemporanei, angosciati dalla nevrosi del già fatto e del già visto, un “ubi consistam”, un porto quieto di assodata disciplina figurative e di accettata umiltà compositiva, salvando l’individualità dell’invenzione e la personalità delle tecniche, dei materiali e delle possibili defunzionalizzazioni. Sono nati così,col gusto di una manualità che raccoglie crete e santuario e ciascuno racconta la sua storia,fatta stavolta di elementi talora surreali o ironici o satirici,e talvolta criptici. L’impianto base rimane,ma si riduce in materiali storici di linguaggio che danno la possibilità di un linguaggio nuovo , dove al posto del sereno affidarsi alla fede si trova invece la denuncia, il grido,il dubbio inespresso che si fa espressione grazie a questo antico veicolo. Insomma è il miracolo dell’ex-voto. Ecco il mal di denti come metafora della vita in cui i calchi di dentature offerte alla Santa collegano e separano l’iperuranio dal paese del dolore (ma è passato o no? Si legga Pirandello e un po’ anche Dostoevskij …) E quale misterioso rapporto collega il cavalluccio marino con la Vergine ed il coloratissimo putto di creta? E quale dea madre di preistorica origine veleggia in un cielo stellato verso quella pala d’altare? Ma il gioco di decifrare simboli si ferma subito e lascia il posto al piacere di una lettura che non lancia messaggi univoci ma crea suggestioni plurisegniche, qualche volta divertenti, qualche volta inquietanti. E’ un momento dell’iter di un pittore che non si ferma mai al collaudato ma sperimenta sempre vie nuove: speriamo solo che quest’ultima, la strada degli ex-voto,che abbiamo apprezzato in anteprima, si materializzi in una bella mostra prima di essere a sua volta superata. Perchè questo è il destino dell’arte del nostro tempo.