Domenico Castaldi si è formato al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Trasferitosi a Portogruaro ha accompagnato all’attività di insegnante quella di operatore culturale, pittore e scultore. E’ un’artista che, da sempre, ha rifiutato l’ovvietà e la facile seduzione di una modernità sradicata per privilegiare una pittura come luogo in cui esteriorizzare il proprio mondo interiore. Ha iniziato ad esporre in sedi autorevoli negli anni ‘80 – con positivi consensi di critica e di pubblico – accreditandosi su un discorso figurativo portato su toni alti. Fin dagli esordi si è distinto per uno stile personale – sottolineato da una napoletanità e da una sottile vena ironica intrisa di vaga inquietudine. Dagli anni ‘90 si misura anche con la scultura esprimendosi nel modellato della terracotta; si avvale cioè della creta, un materiale morbido, cedevole, acquiescente alla sua volontà (“pronto” alla manipolazione e alla trasformazione) per dar forma ad immagini che si caratterizzano per una singolare incisività e per un poetico cromatismo. Sono sculture per lo più enfatizzate su un’esuberanza barocca o popolaresca oppure suggestionate dal mito. Flavia Benvenuto Strumendo Su
LORENZO BUSSI
BANDIERA, BANDIERE, BANDERUOLE
LA BANDIERA DELLA REPUBBLICA È IL TRICOLORE ITALIANO: VERDE, BIANCO E ROSSO, A TRE BANDE VERTICALI DI EGUALI DIMENSIONI. (ART.12 COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA)
Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia hanno diffuso l’epidemia della bandiera, davanzali e balconi si sono riempiti di tricolori di foggia diversa: alcuni dai bei colori vivaci, usciti freschi freschi dal sacchetto di nailon che li conteneva, altri logori e vetusti, rimasti per anni rinchiusi in un sottoscala o in sofitta. Anche Portogruaro è stata contagiata dalla “ bandierine ”! In borgo Sant’Agnese ho visto garrire un bandierone con al centro gli stemmi delle repubbliche marinare, mentre in un terrazzino di via Zappetti sventola una tricolore sabaudo. La stessa bandiera, certo, ma che assume significati diversi: l’orgoglio militare, la nostalgia monarchica, la passione nazionalistica … Il Tricolore è uno, ma ognuno lo connota di valenze personali. Questo concetto lo illustra bene Domenico Castaldi nella mostra “Bandiere”, allestita presso la Galleria del Centro, in via Martiri della Libertà 102, a Portogruaro (dal 2 al 19 giugno). Le bandiere di Castaldi presentano dei ghigni inquietanti e sono fregiate dagli aforismi di Leo Longanesi e Umberto Eco che pongono al visitatore un dubbio: ci può essere una sola bandiera o ognuno di noi ha la sua personale bandiera? Una bella riflessione per il 150° anno dell’Unità d’Italia!
Dal profondo nero esce un raggio di luce: un segno di vita. Mimmo Castaldi parte appunto dall’azzeramento dell’immagine, cioè dalla non forma della notte. Quindi costruisce la sua porzione del mondo attraverso giustapposizioni di brani luminosi che s’innestano l’un l’altro, entro il ritmo di composizioni d’una calibrata semplicità. Le tele sono grezze, ruvide, ma gli inserti di carte trasparenti sembrano animarle nel contrasto e nell’unione, magari raccordate talvolta da inserti lignei. L’impressione è quella di un mondo africano recuperato da una nostra sensibilità: i toni bruni, grigi, le ocre, i marron bruciati, i bianchi slavati giuocano tra loro come in un tappeto, con accenti che rasentano una sorta di magia totemica. Piavon di Oderzo (TV) Cà Lozzio (Novembre 1990).
… Nascono da qui le sue composizioni monocrome (con ossessiva preminenza del nero) che tendono per lo più ad organizzarsi come installazioni più o meno provvisorie e, sempre, con una preferenza esplicita alla gestualità dello stricking, controllata da una fondamentale cultura geometrica. Ne nasce una proposta stimolante nella quale molti dati storici della poetica astratta sono riconoscibili da una sintesi finale originale e ricca di risvolti e prospettive. Savona – Il Brandale (Ottobre 1991)
“Verso terre lontane” è una suggestiva tecnica mista di questo pittore napoletano, una specie di pellegrino per l’Italia (adesso per esempio, insegna a Portogruaro). L’opera citata, come le altre, ha la bellezza della materia, del segno e del colore. Soprattutto, una onestà di fondo. Siamo sempre più freddi. Di un’opera leggiamo ormai solo più la struttura, la sezioniamo come fossimo chirurghi e non amanti della coniugazione forma e colore. In realtà quello che si chiede a un artista è di trasmettere messaggi. Castaldi rispetta il suo compito, emanando immagini fiabesche,”situazioni spaesanti” come scrive Boris Brollo. Si tratta di una serie di lavori su carta, squillanti di colore, “il tutto controllato da un fondo che delimita, urta, sosta la visione costringendola dentro uno scenario teatrale aperto”. Un artista che si salva perché per lui non ci sono etichette.
La Repubblica 1992 Studio Anna Virando, corso Lanza 105 Torino. Su
FLAVIA BENVENUTO STRUMENDO
“TERRA” STRANIATA DA FORME E COLORI Momento di dilatazione e di intensificazione dell’esperienza pittorica, la scultura per Domenico Castaldi diventa una forma espressiva con un suo inconfondibile spessore linguistico. Collegata idealmente alla tradizione delle avanguardie storiche, che coniugano progetto artistico e vita vissuta, essa sembra dettata e governata da un interesse socio antropologico che induce l’artista a ricalcare le tracce delle proprie origini campane e ad interrogarsi sulle condizioni della società contemporanea, sui dubbi e le perplessità che essa crea. Castaldi, sposando l’idea che l’arte è metafora della vita, con un gusto ludico e grottesco tendente a sdrammatizzare la sacralità della scultura, cattura – in un momento magico compreso tra realtà e dimensione surreale – ricordi personali, frammenti di quotidianità e di storia collettiva e li mostra nella loro “ verità”, ne svela l’anima e la potenzialità poetica. Le sue sculture sono strutturate come un racconto: immagini chiaramente focalizzate vengono collegate con una sapienza fatale ed insieme infantile testimone di una stravagante vocazione ludica e di un gesto estetico votato alla teatralizzazione.
Caratterizzate da una smorfia grottesca e da una sottile vena ironica, schiudono una vaga inquietudine ed un enigma rispetto alle possibilità di riflettere e di progettare il “proprio viaggio” o di rispondere a dei quesiti esistenziali. Echeggiano memorie misteriose ed evocano un’aura di “antichità” esorcizzata dalla contaminazione con elementi simbolici o provocatori ( cuore – labbra – spiritelli … ) dalla resa fortemente espressiva e popolaresca e da una bizzarria cromatica che, al di là dell’apparenza manieristica, custodisce un’ambizione narrativa parodistica. Le sculture di Castaldi sono terracotte: nascono cioè da un materiale “ modesto”, morbido, immediato, acquiescente all’ingegno dell’artista che, manipolandolo plasticamente, lo esalta inventivamente e lo veste di luce, di colore e di una intrigante magia. Aprile 2011
FUOCHI DENTRO Il Rinascimento scopre la centralità dello sguardo dell’Artista che indaga e crea la realtà circostante attraverso la rappresentazione di vissuti interiori e la proiezione di categorie spazio – temporali della mente. In tal modo viene a strutturarsi la separazione tra soggetto e oggetto; all’interno di questa dualità il confine tra creatività e oggetto estetico,contenuto e contenitore,conscio e inconscio è continuamente mobile,da definire; è pervaso dalla trasparenza della storia, della realtà, del vedere “attraverso”. Castaldi, in questi ultimi lavori, si muove all’interno di questa dinamica: “inventa” ( trova, nel significato latino del termine) una realtà esterna all’ Io che ha intuito dentro di sé, nello spazio interiore più ancestrale, e che chiede di essere conosciuta, elaborata, vista, di essere capita e nuovamente interiorizzata secondo una misura di consapevolezza per diventare la verità esistenziale cui rapportarsi.
L’urgenza di questa pulsione si trasforma in una incessante interazione del gesto, nel bisogno di riproporsi, di stabilire una comunicazione che travalichi l’interiorità, come se la pienezza della vita fosse sempre altrove. La centralità dello sguardo stabilisce alterità, separazione, dolore; costruisce un processo di individuazione che rende irripetibile l’esperienza creativa e relazionale; racconta il farsi di un percorso che gli altri non sanno; che conduce all’amore, all’ofesa narcisistica… Castaldi cattura il nostro sguardo, lo aferma con squarci di colore per condurlo e perderlo in uno spazio scandito da una materia violentemente luminosa e catartica insieme. Il colore non costruisce forme concluse, volumi finiti a distinguere lo spazio positivo e negativo per placare l’anima nel turbine della vita, ma riempie la tela con urgenza impetuosa, la contamina di vitalità, chiede di essere accolto nell’esistere. Lo sguardo si smarrisce e il cuore sembra arrendersi di fronte all’inconoscibile, ad una campitura della tela perennemente in divenire; il cuore non osa lasciarsi andare al rischio della conoscenza, del piacere, della morte… Ma sono le improvvise rarefazioni del colore ad indicare un principio di individuazione, a riproporre un confine, per conoscersi e riconoscersi.
… Le carte di Mimmo Castaldi assumono ora la freschezza di un bricolage di dis-alienato, felicemente colorate nei loro “arabesques” mediterranei. Si passa dall’esplosione cromatica che denuncia l’ emozionalità dell’Autore all’ implosione strutturale delle forme che creano situazioni spaesanti: fiabesche. Il tutto controllato da un nero di fondo che delimita, urta; sposta la visione costringendola dentro uno scenario teatrale aperto, il quale si svolge sulla piattezza del foglio. Un lavoro questo, alchemico, di memoria ricostruita con passione e tenerezza. Torino – Studio laboratorio (Aprile 1992) Su
CARLO MASI x
DOMENICO CASTALDI & LE IMMAGINETTE DI FINE SECOLO Ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Giobbe) Oggi l’arte si trova in un cul-de-sac, quello postmoderno. Molti artisti privi di creatività, al di qua e al di là dell’oceano, ancora stravolti e addolorati per la deceduta modernità, sono ora riuniti attorno al corpo dell’arte, ormai in fase terminale avanzata, intenti a praticarle un delirante, quanto inutile e patetico “accanimento terapeutico”, fatto d’ immagini prive d’immaginazione, attinte dalla pittura del passato prossimo e remoto, elucubrazioni noiose e insulse, rigurgiti sconci e indecenti. Con quale risultato? Un gigantesco flop estetico con morte (della “ paziente”) garantita! L’arte (forse sarebbe l’ora di cambiare sostantivo) può sopravvivere solo se gli artisti (altro sostantivo obsoleto) sanno trovare adeguatamente alternative estetiche – in tempo reale – al nuovo spazio antropologico che si trovano di fronte, caratterizzato dalle più avanzate tecnologie informatiche. Questa nuova situazione non è definibile in alcun contesto accademico, ma solo nei nuovi prototipi mentali provenienti dallo stadio attuale di civiltà.
Gli artisti hanno il compito di scoprire, fuori dall’arte dei grandi circuiti mercantili – o business art. … – una nuova estetica dell’invenzione, adeguata alle coscienze presenti nella società e alla complessa contrapposizione fra mitologia popolare e tecnocrazia, senza temere un eventuale processo di sconfinamento nell’estetica della sottocultura o della cultura popolare (finora trascurate), equivalente ad una opportuna e sana “fuga dal centro verso i bordi”. Questa strategia potrebbe essere una delle alternative al naufragio dell’arte. E’ all’opera e al progetto di Domenico Castaldi che penso. Egli tenta una nuova entità estetica: l’ ibridazione dell’arte. Castaldi, delicatamente e con meravigliosa “incoerenza” formale, impasta gli attuali linguaggi spuri dei mezzi di comunicazione commerciale e di entertainment, con un altro linguaggio, quello antico e popolare delle immaginette religiose e degli ex voto. “Immaginette”, evidentemente, non in senso riduttivo, ma per indicare un segno dolce e fragile dell’arte popolare, quello dei “santini”, che hanno rappresentato, per secoli, uno degli ingenui veicoli per avvicinare la Terra al cielo, “carte povere” ormai appartenenti all’immaginario collettivo e al mercato dell’antiquariato. Dalle icone di Castaldi nasce una provocazione ironica e assieme un gentile e attraente figurativismo, un richiamo quasi fiabesco. L’autore tende a liberare la creatività dalle forme fossilizzate, e coglie il doppio lato delle cose, l’ambivalenza del mondo. Ma contestualmente prende le distanze dall’Arte mondanizzata e dall’estetizzazione della realtà. Da queste premesse emerge la sensazione che il termine di misura della sua arte non sia tanto l’uomo, ma piuttosto le sue “impronte”: archetipi, miti (vecchi e nuovi), credenze, superstizioni, sessualità, paure, “efimeri” di tutti i generi, iconizzati a forma, per l’appunto, di ex voto, di figurine, di santini, oppure di curiose tessere di qualche Pia Opera…, fornendo allo spettatore, per “grazia ricevuta”, – l’ideologia (al presente rarissima) della pura contemplazione. Il “ fedele” dell’arte, al giorno d’oggi, ha bisogno di “vedere”, come Giobbe”… ora i miei occhi ti vedono”. O come gli apostoli all’indomani della Resurrezione. La lingua artistica di Castaldi è comune alla nostra epoca, è il luogo del “ misticismo” e dello scetticismo, dell’irrazionale e del nomadismo effimero; come metafora è una sfrenata deriva dei valori e il declino d’alcune modalità dell’essere. Questa pittura si pone contro le tentazioni di riguadagnare il discorso storigrafico, in essa non c’è (ed è giusto che sia così) volontà di ripercorrere il passato (cioè la storia) per riproporlo a modello, o assumerlo a pretesto per poi “ ricalpestare” pedissequamente o meno i segni e le orme della grande Arte. Dall’attuale copioso e nauseante repertorio del già fatto e del già visto, Castaldi, lucidamente, si allontana con un suo progetto critico e ironico, separandosi dalle estetiche del passato con cadenza leggera, fuori da qualsiasi idea “alta” di cultura e di intellettualismo. Le opere di quest’autore sfuggono sapientemente al controllo burocratico dei “ funzionari” dell’arte, i quali si trovano spiazzati dinanzi alle modalità espressive di questa pittura, fuori dai labirinti del cerimoniale artistico. Gli ambienti “santuariali” di Castaldi sono stupendi “luoghi” di transito quotidiano, codici e schemi facilmente individuabili, da lui magistralmente shakerati per il piacere dei nostri occhi devoti: la Vergine- Biancaneve (o Biancaneve – Vergine?) e il Cucciolo dei nani, “Kit e Kat”, Barbie, il sacro Cuor di Gesù, i 101 disneyani, la Barilla, la bandiera yankee, la Coca Cola, i dollari, Super-Man (Super-Stress), il sesso, le diversità, ecc. Tutta una trama, un universo di “santi” e di madonne, che tocca l’arredo sacro dei luoghi di culto e i luoghi, altrettanto “sacri”, del business, e giunge garbatamente a toccare il nostro ambito domestico, la nostra privacy estetica. Insomma, sono immagini, anzi immaginette (episodi “ miracolosi”) necessarie per la ricerca della nostra “salvezza”, nella crisi del quotidiano di questo fine secolo.
VERSO LA LUCE DELL’INCENDIO Speriamo che qualcuno ci prenda per mano e ci conduca sulle vie che portano all’essenza”. Ma questa è un’altra storia e Castaldi forse ce la racconterà più avanti. Così nel 1998 chiudeva un suo articolo Michelangelo Dal Pos che della pittura è stato attento osservatore e critico. Erano i tempi delle immaginette, cioè di una serie cospicua di tele ( talora meglio cornici – contenitore) in cui l’artista giocava ad assemblare linguaggi diversi, fra il divertito e il provocatorio. Le icone della religiosità popolare e tradizionale, fatte di Madonne incoronate, di Cristi trafitti e di sante addolorate erano accostate alle icone della modernità consumistica fatte di marchi, etichette, fumetti, gnomi. Ne risultava una galleria suggestiva di citazioni che oscillava senza sosta fra antico e moderno, sacro e profano con lo scopo di creare attrito, di disorientare in questo mondo già così privo di orientamento.
Sulle tracce di una certa pop art e strizzando l’occhio al mondo del fumetto, Castaldi scavava nella nostra dimensione culturale profonda scoprendo la contemporanea presenza del santino e del marchio, scoprendoci nella nostra intima contraddizione di fine secolo o di inizio millennio. Certe iconografie percorrono quella stagione come simboli forti: la macchinetta delle gomme americane, novella macchina del destino, oppure improbabili capitelli che si pongono come citazioni autoironiche rispetto a tutta una trdizione pittorica con la quale non si nasconde un rapporto conflittuale, a tratti polemico, Composizioni a tratti nella forma del collage materico, a cancellare perfino la distinzione fra reale e pittorico che almeno un ordine porrebbe al nostro percepire. Ma vogliamo pensarla ora, a distanza di una decina d’anni, come una fase critica, distruttiva a suo modo rispetto a qualsiasi universo consolante e sicuro. E vogliamo pensare alla produzione successiva di Castaldi come un tentativo coraggiosamente perseguito di ricomporre il mondo, di riproporci un’essenza. Non diremo l’Essenza, che non è più tempo davvero, ma almeno una suggestione di senso, un barlume di significato. Nelle ultime serie via via la tela si sgombra, la folla di segni e di allusioni si rarefa e si ripropongono, nelle larghe campiture di colore, immagini consuete. Corpi, visi, paesaggi si riappropiano della tela ma questo non rappresenta il rientro sic et simpliciter nel mondo nostro, quasi a consolarci di una normalità che è perduta irrimediabilmente. La cifra di questa stagione è quella che vorrei chiamare realismo lirico, se la definizione non fosse stata applicata ad altri contesti e ad altri artisti. Lirico nel senso che ogni immagine appartiene ora ad un’altrove, si vena di nostalgia e di vagheggiamento. I corpi stilizzati, si avvinghiano in un desiderio di fusione e il paesaggio si ricompatta in forme geometriche, appene allusive di alberi, colline, nuvole. È un mondo che appartiene piuttosto al sogno che alla realtà, che nella morbidezza delle linee racconta una storia, racconta il mondo come dovrebbe essere, pur evitando ogni forma consolatoria. Il paesaggio non è brusco, ma segue una linea precisa; Chiara Tavella già osservava in un bell’intervento critico lo sfoltirsi dei particolari nelle ultime immaginette, ma l’emergere di questo mondo lirico è una sorpresa che rinvia davvero ad una stagione nuova. Vari numi sono evocati di volta involta nella conquista di questo spazio, ma le citazioni diventano ora suggestioni rielaborate nel profondo, da Guttuso a carlo Levi, ai classici del nostro ‘400. Ed è straordinario veder ancora alberi che si accampano a formare sfondi, stilizzati ma dalle dalle geometrie sicure, e corpi di ragazzi, fanciulle leggiadre a confermare di nuovo la fiducia in una realtà che può esserci, che può ridefinirsi nei colori. Perché il colore è certo la guida di questa ricomposizione: un colore “lirico” anch’esso , perché chiamato a dar vita ad una realtà nuova, magico perché sembra assumere in sé una forza alchemica capace di forgiare oggetti e spazi inediti. Così, per fare un esempio, i rossi dei corpi, i gialli traslucidi dei paesaggi, gli intrichi di linee che portano una foresta sull’orlo dell’astarttismo. Ma questo sembra ancora un anticipo perché la vera esplosione, la vera esplosione di senso vogliamo trovarla nella serie iterata ed iterata che occupa da sola l’ultimo anno della produzione di Castaldi. Se la realtà finora si rivela solo nella trasfigurazione lirica, è nell’incendio, nella luce-consunzione che sembrano saldarsi nuovamente il mondo pittorico e quello reale. Racconta la cronoca che un incendio vero, uno di quelli che dolorosamente deturpano di anno in anno i nostri Appennini, abbia acceso la fantasia di Domenico Castaldi. La realtà si fa luce, energia: questa deve essere stata la improvvisa illuminazione da cui ha preso avvio la nuova pittura. Qui la magia è evidente perché il colore, senza imbarazzo, è al tempo stesso luce e incendio, campo pittorico e realtà in presa diretta. Sulla tela astratto e figurativo smettono finalmente finalmente di essere alternativi e gli alberi in fiamme sono veri alberi e puro colore, ad un tempo. Esili tronchi anneriti ci avvertono a tratti che siamo qui, per terra, mentre la luce dei fuochi , fatta di colori, ci porta lontano. Come dovrebbe fare, crediamo, ogni opera pittorica: saldare, almeno per gli occhi, il qui e l’altrove. Il confine fra sacro e profano, la sottile provocazione di altre stagioni è lontana da queste tele: un nuovo senso alle cose, luminosissimo e caldo si è fatto strada, mentre alle categorie del devoto, del moderno, del magico si sono sostituite le categorie del filosofo ( Eraclido sta dietro l’angolo ) e dell’assoluto. Maggio 2008
PER GRAZIA RICEVUTA I neo ex-voto di Mimmo Castaldi per un nuovo linguaggio Non ci facciamo caso,e facciamo male. Intere pareti di molti santuari mariani (soprattutto) dei quali snobisticamente apprezziamo solo le linee architettoniche e qualche pala d’altare ,sono piene di quadretti di piccole dimensioni detti “ex-voto”. Il termine è forma ellittica da “ ex-voto suscepto”, cioè ”secondo il voto fatto. L’usanza ha origini decisamente pagane: sono doni fatti alla divinità in cambio di uno scampato pericolo o di una grazia ricevuta. Solo nel Medio Evo divennero patrimonio ma anche del mondo cristiano . Molti sono d ‘argento o di materiale meno nobile, che costituiscono proprio l’essenza del dono,ma quelli che ci interessano perche autentica espressione di arte popolare sono i quadretti narrativi, dipinti da modesti pittori di paese a nome e per conto del miracolato o , raramente, dal miracolato medesimo.
Sono interessanti perché presentano una griglia tematica e anche in parte stilistica fissa, dettata dalla riverenza al luogo dove deve essere esposto il quadretto, dalle circostanze drammatiche narrate dalla ripartizione spazio-temporale tra la richiesta della grazia ed il suo miracoloso ottenimento, dal contenuto ma sempre presente gusto barocco del meraviglioso e del meravigliante, la soddisfazione del vantaggio ottenuto dal protagonista ma anche la sorpresa. E lo stupore che le leggi della natura, o anche semplicemente della statistica e del calcolo delle probabilità, si siano piegate per volontà di Dio o del Santo intercessore a favore del miracolato. E’ dunque un complesso di circostanze culturali e linguistiche che offre anche agli artisti d’oggi,così in crisi per il tramontare di tutti gli “ismi” contemporanei, angosciati dalla nevrosi del già fatto e del già visto, un “ubi consistam”, un porto quieto di assodata disciplina figurative e di accettata umiltà compositiva, salvando l’individualità dell’invenzione e la personalità delle tecniche, dei materiali e delle possibili defunzionalizzazioni. Sono nati così,col gusto di una manualità che raccoglie crete e santuario e ciascuno racconta la sua storia,fatta stavolta di elementi talora surreali o ironici o sa- tirici,e talvolta criptici. L’impianto base rimane,ma si riduce in materiali storici di linguaggio che danno la possibilità di un linguaggio nuovo , dove al posto del sereno affidarsi alla fede si trova invece la denuncia, il grido,il dubbio inespresso che si fa espressione grazie a questo antico veicolo. Insomma è il miracolo dell’ex-voto. Ecco il mal di denti come metafora della vita in cui i calchi di dentature offerte alla Santa collegano e separano l’iperuranio dal paese del dolore (ma è passato o no? Si legga Pirandello e un po’ anche Dostoevskij … ) E quale misterioso rapporto collega il cavalluccio marino con la Vergine ed il coloratissimo putto di creta? E quale dea madre di preistorica origine veleggia in un cielo stellato verso quella pala d’altare? Ma il gioco di decifrare simboli si ferma subito e lascia il posto al piacere di una lettura che non lancia messaggi univoci ma crea suggestioni plurisegniche, qualche volta divertenti, qualche volta inquietanti. E’ un momento dell’ iter di un pittore che non si ferma mai al collaudato ma sperimenta sempre vie nuove: speriamo solo che quest’ultima, la strada degli ex-voto,che abbiamo apprezzato in anteprima, si materializzi in una bella mostra prima di essere a sua volta superata. Perchè questo è il destino dell’arte del nostro tempo. Il colore ottobre 1994
PITTURE DEL FUOCO Con questa nuova produzione pittorica, Domenico Castaldi ancora una volta ci regala il dono della sua fertile creatività. Molte sono state le tappe del suo itinerario artistico, molti i modi della sua avventura, attraverso il ritmo e la spazialità delle figure plastiche e delle pitture, secondo matrici segnate dalla volontà di comunicare per simboli, emblemi, per scarti di senso, al fine sempre di guadagnare un nuovo motivo di autenticità, di relazione io-mondo, invitandoci a conservare, quando è necessario, un patrimonio di echi della vita personale, per fare spazio, quando altrettanto è necessario, a percorsi inesplorati nel campo ampio e rischioso dell’esperienza. Non è un artista, Castaldi, che opera in un territorio protetto da scuole , da direzioni prescritte dal mercato. Egli lavora in solitudine, orientandosi con la bussola e l’interrogazione della sua arte; e risponde al bisogno di dare profondità storica al suo percorso creativo, dialogando direttamente con i grandi maestri dell’arte moderna e contemporanea.
In Fuochi, Castaldi dipinge sempre più comunicando il piacere della pittura, o meglio approdando a una vera gioia espressiva. E così, mentre il colore diviene il mezzo prescelto per esprimere le pulsioni profonde, l’energia segreta e vitale che vuole accedere alla luce, trovare una varco, i maestri, di cui prima parlavamo, sono i Romantici, e poi i loro numerosi successori, quindi i fauves, e da lì almeno fino a Kandinskij. Questo contesto espressivo – pulsionale giustifica la stesura rapida, quasi gestuale ( ma sempre controllata) delle pennellate, così come la stessa figurazione si lascia interpretare su un piano indefinito ed evocativo. Si tratta di uno stile, che provenendo dal fondo romantico, introduce a cogliere affinità tra la pittura e una poesia che si approssima, nel momento in cui prevalgono pathos e autonomia del significante, al linguaggio indefinito della musica. E se del fuoco senza dubbio si parla in questi lavori, molteplice è il punto di vista che lo inquadra e lo interpreta: c’è il fuoco uno e molteplice (Eraclito), col suo significato arcaico e solare, c’è il fuoco religioso, distruttore e purificatore; e c’è la valenza prometeica, colta nella sua duplicità tra progresso e pericolo ambientale, lungo un asse antico quanto moderno (si vedano anche certi richiami allo scenario futurista delle città industriali). E infine c’è un fuoco, che in realtà permea tutto questo lavoro, dal simbolismo vario, un fuoco per accedere ai segreti dell’eros e dell’amore, un fuoco come una fede nella vita. Galleria Comunale Di Arte Contemporanea AI MOLINI Portogruaro Marzo 2008
I “NUOVI SANTI” DI DOMENICO CASTALDI: UN RITRATTO IRONICO MA INDULGENTE DELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA Si possono individuare, nell’arte contemporanea, due opposte tendenze o atteggiamenti – da intendersi, ovviamente, non come categorie chiuse e incomunicanti ma come possibili linee interpretative di una realtà complessa, quella artistica, che sfugge comunque a ogni schematizzazione. Potremmo definirle la tendenza alla “immersione nel mondo” e la tendenza alla “ricostruzione del mondo secondo leggi universali”. Intendendo il termine “mondo” in un’accezione filosofica, direi esistenziale, come l’insieme cioè dei fenomeni, di tutto ciò che coinvolge i nostri sensi e parcellizza il tempo in una serie di istanti eterogenei, fatti di “particolari”, di “accidenti”. In poche parole, “mondo” è l’insieme dei fatti che accadono, dai minuti avvenimenti quotidiani a quelli più importanti, non ancora sistemati, però, in una logica consequenzialità retta da proprie leggi, non ancora divenuti, cioè, una “storia”. Nell’arte del secondo dopoguerra il primo dei due atteggiamenti si concretizza inizialmente nel movimento dell’Informale, nell’ambito del quale almeno le ricerche di tipo gestuale, come l’action painting, si basano su un tentativo di trascrizione immediata, nell’opera, delle pulsioni, degli istinti, degli stati interiori, di quel sottoinsieme di “mondo” che è costituito dalla sfera emotiva e inconscia della psiche.
L’atteggiamento di “presa diretta” del mondo muta completamente obbiettivi negli anni ‘50 e ‘60 e da intro-verso si fa estro-verso: un nuovo mondo appare per la prima volta in arte, il mondo della civiltà dei consumi, della pubblicità e dei mass-media, fatto di una miriade di oggetti inutili e colorati, gli oggetti ripresi, ingigantiti, declamati e venerati dalla pop art. Da questa discendono poi, per vie più o meno dirette, molte delle ricerche successive, fino a quelle più recenti, legate al fumetto e all’immaginario urbano. L’atteggiamento di “ricostruzione del mondo secondo leggi universali”, o meglio il tentativo, spesso problematico e disperato, di individuare una qualsivoglia “legge”, si esprime invece nell’astrattismo geometrico e in tutte quelle ricerche, tese all’analisi del linguaggio visivo e alle sue logiche interne, che ad esso si possono ricondurre (dal Movimento per l’Arte Concreta dell’immediato dopoguerra, alle correnti optical e cinetiche degli anni ‘60, a certe attuali sperimentazioni sui nuovi linguaggi multimediali). Tutto questo per inquadrare una mostra che si svolge in questi giorni al Centro d’Arte Grigoletti di Pordenone, dove sono esposti gli “Ex-voto” di Domenico Castaldi, artista di origine napoletana ma residente a Portogruaro che, con la sua “vis” ironica e scanzonata di levantino, rientra decisamente nel primo dei due atteggiamenti indicati, e contrasta così singolarmente con buona parte dell’arte friulana, caratterizzata da un’intonazione più distaccata e meditativa, spesso risalente all’astrattismo classico – e penso ad alcune mostre recenti, svoltesi a Pordenone, come quelle di Colò e Pope, o tra i giovani, a un artista come Poldelmengo. Castaldi lavora sui temi e sulle strutture narrative degli ex-voto; compaiono così nelle sue opere le figurine in argento rappresentanti la parte del corpo risanata dalla divinità protettrice, il viso smunto dei santi bizantini, la Madonna, l’acquasantiera, l’angelo, racchiusi in preziose cornici dorata che sembrano trasformarsi in quinte teatrali; tutto un immaginario popolare, insomma, che deriva dalla religiosità meridionale, intrisa di un senso quasi pagano della spettacolarità, del rito magico, della superstizione. Ma poi, a ben guardare, la Madonna protegge il gattino del Kit e Kat, anche lui con l’aureola; il santo asceta indossa una cravatta e una toga, per esempio in “Processione”, un “polittico” in cui gli altri “santi” sono un carabiniere col pennacchio – il carabiniere di Pinocchio! – e un truce Superman; e ancora l’angelo ha un corpo nudo di donna e fa pipì (l’ “H2O benedetta” del titolo) dentro un calice. E qua e là spuntano figurine che fanno la boccaccia, gesto scaramantico, confratelli incappucciati, “cuori di Maria” pulsanti di luce come nei santini e il “Dio c’è” scritto con i caratteri di “Coca-cola”. E’ dunque, questo, un paradiso di Pulcinella, dissacrato e mondano, che ha l’apparenza di un fumetto: i colori sono vivacissimi e uniformi, le scritte richiamano i caratteri di note pubblicità. Mentre in tele come “Angelo” e “Anima” è tutto un brulicare caotico di immagini, ghirigori, arabeschi, farfalle, fuori e dentro i confini della figura, in un’esuberanza vitalistica e barocca di forme. La dissacrazione qui messa in atto è quella della nostra società in cui, perduto ogni riferimento religioso e morale, non resta che “votarsi” al santo del giorno, al politico di turno o all’eroe dei film e dei fumetti, alla rassicurante mamma-Madonna degli spot o anche a una certa cultura, come sembra suggerire una citazione dall’ “Urlo” di Munch in “Processione”. Il “mondo” accolto nell’arte di Castaldi, dunque, è il mondo attuale, contesto delle immagini dell’era della comunicazione “di massa”, “planetaria”, “multimediale”, e la società italiana in particolare, con le sue varie tangentopoli, dove l’unica legge valida, è la legge dell’ “arrangiarsi”, dell’adulazione, della raccomandazione, del tic divertita e bonaria, col gusto tutto latino e italico – pensiamo a Plauto o a Boccaccio – della furberia e della fantasia umane, la nostra misera umanità, il suo continuo arrabattarsi non più per il piatto di minestra, come in passato, ma per riempire con i nuovi santi e i nuovi miti del benessere il vuoto disperante lasciato da santi antichi. Novembre 1995
I FUOCHI DI DOMENICO CASTALDI L’opera di Domenico Castaldi propone una realtà slegata dalla logica di appartenenza al mondo fisico e ben dentro la dinamica della sfera mentale. È per questo che i riferimenti riconoscibili sbiadiscono a tratti il contorno, fondendo con una forza magnetica del colore che, sottoposta a un’azione espansiva della luce, sistema l’immagine in una sorte di ambiente liquido,dove le cose fluttuano libere da vincoli di prospettiva e, quindi, si espongono alla possibilità di molteplici punti di vista. L’impianto cromatico, caratterizzato da tinte accese e talora baluginanti, quasi autentici “ fuochi “ , traduce sensazioni interne di calda adesione alle ragioni dell’esistenza. Il tutto mentre il segno innerva una struttura compositiva che si aferma con forza scenografica, come se si trattasse di una quinta che ami dati di un’interiorità sommossa e piena. Galleria Alvona, Labin (Croazia, maggio 2009 )
TRA ESSENZA ED ESISTENZA Le bocche di castaldi con cui gridano frammenti di visi ( sono terre colorate) sono il principio di altre opere – amuleti contro il malocchio del conformismo e della ipocrisia: vedo sul muro altri suggestivi frammenti: pugni chiusi, vagine aperte, corna di due dita, e “tieni! Prendi questo”, col braccio nel braccio. Arte Fiera Bologna 1994
MILLE SIMBOLOGIE CELATE IN OGNI DETTAGLIO DELLE OPERE DI CASTALDI Piccole bacheche, vivaci teatrini preziosamente incorniciati, a contenere un’immagine della Vergine con il bambino, una tartaruga sorridente, maschere caricaturiali, silhouettes di volti, cuori, stelle e fiori naif, un cagnolino recuperato dal mondo dei cartoons. I lavori di Domenico Castaldi, raccolti nella mostra “ Provare per credere” alla galleria Crossing di Portogruaro, si presentano come immagini dal sapore volutamente popolare, dove i minuti oggetti non sono recuperati, ma ricreati e dipinti con colori saturi e vivaci, quasi a testimoniare una sorta di urlo quale identificazione di una presenza, attraverso la summa di frammenti di mondo.
Ogni dettaglio si fa carico di specifiche simbologie che corrono lungo il sottile confine tra sacro e profano, laddove il primo appare come mera citazione culturale ormai svuotata dalla valenza del culto: il latino còlere dal quale derivano entrambi i vocaboli (cultura e culto) sopravvive nell’accezione del “ coltivare”, ma perde quella più ampia del “ venerare”. Castaldi recupera il concetto degli ex voto come categoria del magico dove l’idea di una realtà divenuta ormai benigna convive con le minacce catastrofiche che incombevano sul graziato, come scrive Michelangelo Dal Pos in catalogo. Ma poi annulla il rapporto rituale con la divinità, proclama la fine delle ideologie, il crollo di un riferimento trascendente quale indice di salvezza. L’uomo si trova quindi solo con se stesso e con i frammenti di storia, le tracce di mondo, del resto non sempre oggettivi perchè relativi al proprio modo di vedere. Le energie si concentrano così sull’emergenza di un Io che deve essere cercato e individuato, in qualche modo circoscritto (ecco il valore di cornici e bacheche come contenitori di un’identità) e protetto con un processo di difesa dalla morte e dalla negatività, compito che spetta all’ironia e all’autoderisione. Quale ex voto prefigurano le maschere caricaturiali, dai volti grossolani e rosei, dal sorriso straniante che cela la sofferenza, l’invidia, il sadismo sotto un’apparente felicità? Assistiamo a una vera e propria dissacrazione: non vi è alcun presupposto di devozione e rapporto con la divinità; le uniche relazioni a entrare in campo sono quelle tra esseri umani, gestite secondo un principio di realtà che chiama in causa tutta la concretezza del quotidiano, annullando ogni altro riferimento capace di condurci al di sopra delle cose nella speranza di un altrove.Ma se la minaccia è sempre in atto, Castaldi ne sdrammatizza la portata attraverso uno sguardo a distanza, capace di vedere la realtà con occhi innocenti attraverso un filtro che diviene fiaba, racconto giocoso, dove i personaggi divengono protagonisti di un teatrino ironico, certo incarnando il ruolo del buono e del cattivo, ma eludendo ogni tono drammatico.
ALLA FINE DEGLI ANNI ‘80 Quando alla fine degli anni ’80, visitando Vienna, entrai al Palais Lichtenstein per visitare la collezione rimasi sorpreso da una mostra allestita da un artista francese allora di moda: Garouste. La sorpresa non fu tanto per la sua pittura molto nota agli addetti né per il suo grande formato lì esposto, bensì per una serie di piccole sculture in bronzo che facevano da pendant ai quadri. Le trovai invece autonome dalla pittura di Garouste e molto accattivanti, sembravano scene surreali, alcune legate alla tauromachia e molto filiformi, verminose ma appunto per questo intriganti. Esse si muovevano intorno alla vita nascente delle cose e quindi embrionali. Erano nuove nel loro genere e Garouste confermava la sua qualità di scultore. Enorme fu quindi la mia emozione quando mi ritrovai davanti a un gruppo di sculture dell’artista Domenico Castaldi nella sua casa.
E segno del destino, quando chiesi la data di queste opere ritenni essere quella di appartenenza allo stesso periodo di quelle di Garouste. Domenico Castaldi non conosceva né conosce lo scultore francese. Quindi il suo fu un lavoro maturato dentro un progetto scultoreo che apparteneva a quel tempo sia per carattere che per unità di stile e apparentato alla storia dell’arte di tutti i tempi. La visionarietà surreale delle scene costruite attorno alla sua scultura nascono dentro una letterarietà donchisciottesca ma allargata a una percezione del tempo casuale non relativo e determinatistico.La sua casualità guarda all’indietro anche se il filiforme gli fa attraversare l’esperienza già di Giacometti: egli guarda e si ricollega direttamente agli Etruschi. Ciò risulta evidente dal gruppo di disegni, elemento questo embrionale mutevole dell’idea iniziale. La dilatazione del cavaliere, così come quella del cavallo o del singolo guerriero sono allargamenti della materia nel tempo. Il suo è un espandersi più che un restringersi come in Giacometti. Il suo, della materia, è un contorcersi più che un plasmarsi. Questi guerrieri e cavalli che a volte formano dei gruppi teatrali che di certo rimandano al Don Chisciotte ma con una vena teatrale napoletana che deriva dalla conoscenza che Castaldi ha della scenografia “popolare e barocca” del presepe napoletano seicentesco. Questo gruppo di opere mi ha colto di sorpresa all’inizio poi dentro di me è maturata la necessità di collegarle e situarle in un contesto di post modernità che le rende nuove e mi fa gridare allo scandalo, questo si vecchio, di una storia che dà sempre ai soliti noti mentre toglie agli ignoti. Giustizia di penna vuole che venga recuperato e portato alla luce un nucleo di opere e un valore che altrimenti sarebbe rimasto perduto e ignoto. Tutto questo non tanto per testimoniare il nostro tempo bensì a dimostrazione di una capacità e sensibilità artistica che altrimenti avremmo disperso, mentre così possiamo rilanciare e dare fiducia, meglio certezza, a un lavoro degno di nota e di tempo necessari all’affermarsi di un talento altrimenti perduto per mancanza di fondi o , che è peggio, per miopia critica.
TRA ESSENZA ED ESISTENZA Sembra che Domenico Castaldi con le sue opere abbia individuato un disegno universale. Tale elaborazione personale è ora in esposizione al centro d’arte Grigoletti a Pordenone e sarà poi trasferita nell’allestimento portogruarese ai Molini. Essenza ed Esistenza è l’itinerario consono della mitologia classica che ancora è dirompente in diversi luoghi in Italia e all’estero e si trova a coesistere con il Duemila delle produzioni seriali, dell’itinerante procedere per campioni del mercato globale dei consumi. Castaldi, che non è affatto insensibile a taluni passaggi epocali, costruisce con il colore provocatorio dei manifesti pubblicitari le vicissitudini umane, impadronendosi del linguaggio visivo massmediale dei fumetti, dell’informazione propagandistica, del mondo dei cartoons e degli oggetti cult, richiamando l’attenzione a un ordine poco naturale.
Il pittore, in chiave glamour, assimila sacro e profano richiamando nel tratto un primitivismo divergente delle acrobazie intellettuali che rimandano a certi canovacci del teatro comico, che ha i suoi più alti sviluppi nella commedia dell’arte. Topos nelle sue realizzazioni è il distributore delle caramelle che senza alcun timore Castaldi inserisce come fosse un’icona religiosa, un santino della modernità da venerare; in alcune tele è il soggetto principale, in altre è un elemento fra i tanti. Simboleggia la casualità della vita, il senso positivo dell’attesa che può essere smentito o confermato dal proseguo degli eventi. Una parziale visione da cabala, una lettura di una società complessa che riesce a conciliare, specie in quest’ultimo periodo del Giubileo, fede e mondanità come se queste due componenti si , ammette Castaldi. Dio, massima pia autoritas, e Dio denaro coabitano giorno dopo giorno. L’universo di figurine, statuine, diavoletti e angioletti, giullari e maschere, fanno parte certamente di una concezione partenopea delle monografie popolari, come la dimensione giocosa dell’arte del pittore, ma, più in generale, di una misura universale onnicomprensiva del passato mitologico, del presente consumistico e del futuro onirico. A questo proposito è significativo ricordare l’opera Gran Caffè in cui dal mondo vulcanico composto da Venezia, Chicago, Los Angeles, New York, Cuba e quant’altro, erutta una moka di caffè, punto di riflessione del quotidiano che permette ai cittadini di varie culture di porsi una banale domanda: Come va? E Castaldi si dà una risposta: “Ci si sforza di sopravvivere”. Il pittore, tuttavia, non permette al fatalismo di farla da padrone, ma solo di incidere in una percentuale indefinita nel corso degli eventi. Sulla scelta classicistica del sogno è intervenuta l’urgenza stilistica di volersi riappropriare arcaiche conoscenze artistiche e di farle confluire in un tono coloristico espressionista. Messaggero Veneto Febbraio 2000